Descrizione
Già nella prima metà del secolo XVI esiste in questo luogo una casetta in muratura, proprietà del nobile padovano Gasparo degli Obizzi , casa che nell’arco di qualche decennio si trasforma in palatium. Ma è con Pio Enea I degli Obizzi che avviene il grande mutamento. Costui, forte dei proventi ricavati dall’attività militare al servizio della Repubblica veneta – si ricorda, per inciso, che gli si attribuisce l’ invenzione dell’ obice - e della dote di diciottomila ducati della moglie Eleonora Martinengo, affascinato dalla bellezza, ma anche convinto della posizione strategica del luogo che permette di controllare il Rialto e il canale di Battaglia, decide nel 1570 di ristrutturare completamente il vecchio edificio. Quest’ultimo, in soli tre anni, viene trasformato in un corpo d’ingresso e collegato, con una terrazza, alle altre terrazze che circondano la nuova fabbrica, in modo da comporre un blocco severo, merlato e medioevaleggiante, senza riscontri con altre architetture contemporanee padovane e venete. Nello stesso arco di tempio Enea I costruisce la scuderia, la peschiera con il giardino, la strada di collegamento alla via pubblica, oltre il ponte levatoio sul Rialto, e lo scalone per accedere a cavallo fin sulle terrazze. E’ probabile che, prima di morire nel 1589, abbia dato inizio a quella raccolta di armi e opere d’arte che, ampliate dai successori, formeranno un vero e proprio Museo.
Il nipote Pio Enea II nasce nel castello sul finire del secolo XVI, sposa Lucrezia Dondi dell’Orologio nel 1629 e apporta alla dimora avita numerosi ampliamenti, durati circa un ventennio. Amplia i giardini e il parco, dipinge con finte architetture a nicchie, in cui trovano posto figure di giganti, le pareti del cortile, completa l’affrescatura celebrativa esterna. Ristruttura le scuderie inserendovi un piccolo teatro e allestisce al piano superiore una ricca armeria al centro della quale sta l’obice, l’invenzione del nonno.
Con la morte di Enea II inizia per il castello un lungo periodo di stasi. Solo alla fine del Settecento Tommaso degli Obizzi riesce a rinverdire i fasti della famiglia potenziando le collezioni di armi, di strumenti musicali, di monete e di reperti archeologici, impreziosendo l’arco d’ ingresso e costruendo un nuovo edificio per il museo, una sorta di lunga galleria di oltre settanta metri di lunghezza per sei di larghezza.
Morto Tommaso nel 1805, il castello diventa, dopo alterne vicende, proprietà di Francesco IV duca di Modena il quale, per ospitare la sua corte, costruisce a nord il castello nuovo riprendendo lo stile delle architetture di Pio Enea I.
Proprietà del duca Francesco V e quindi di Francesco Ferdinando, principe ereditario dell’impero asburgico, il complesso diventa, dopo l’assassinio a Sarajevo di quest’ultimo, proprietà imperiale di Carlo I d’Asburgo. In seguito alla sconfitta degli Asburgo nella I guerra mondiale, il regno d’Italia requisisce il castello che viene venduto alla famiglia Dalla Francesca che ne è tuttora proprietaria.
Purtroppo il castello è stato progressivamente spogliato, prima dai duchi di Modena e poi da Francesco Ferdinando Asburgo, di tutte i tesori interni che gli Obizzi avevano collezionato. La raccolta di monete si trova ora nel Museo Estense di Modena, gli strumenti musicali sono a Vienna e l’eccezionale raccolta di armi – oltre duemila pezzi – si trova nel Castello di Konopiste, a qualche decina di chilometri da Praga.
Fortunatamente sono rimasti intatti gli affreschi dei saloni del piano nobile. Si tratta di un ciclo di quaranta riquadri, ordinati secondo una progressione cronologica, che celebrano la storia della famiglia degli Obizzi, affrescati nella seconda metà del secolo XVI da Giovanni Battista Zelotti (1526-1578), celebre allievo di Paolo Veronese e noto affrescatore di ville e di chiese, tra cui l’Abbazia di Praglia. Tra i dipinti più famosi eccelle il riquadro che raffigura Papa Innocenzo IV che benedice le nozze di Caterina Fieschi con Luigi degli Obizzi.
Interessanti sono pure la Fontana dell’elefante, di sapore orientaleggiante, situata all’ingresso, il Cortile dei giganti, l’Oratorio di San Michele e il busto della vecchia Gabrina, all’inizio della scala d’accesso al piano nobile, che, “ benchè sorda, stralunata e zoppa si trastullò in amor finchè fu viva”. Meritevoli di attenzione sono ancora il parco con le sue piante ultrasecolari di sequoia e di magnolia tra le prime importate dall’America e la peschiera. La riserva dei daini, completamente recintata da un alto muro, occupa interamente il Montenuvo ed ha un’estensione di circa 40 ettari.